Nato nella Regio VI Umbria, venne in gioventù a contatto con il genere dell'atellana. Giunto a Roma, divenne autore e attore di commedie palliatae, e fu il primo tra gli autori drammatici latini a specializzarsi nel solo genere comico.
Sulla biografia di Plauto vi sono pochissime notizie, nella maggior parte dei casi poco attendibili.[2] Secondo la testimonianza di Cicerone,[3] considerata verosimile,[4] Plauto avrebbe avuto modo, in vecchiaia, di compiacersi della composizione dello Pseudolus, rappresentato per la prima volta nel 191 a.C.,[4] e del Truculentus: poiché l'inizio della vecchiaia era fissato in Roma attorno ai sessant'anni, Plauto nacque tra il 255 e il 251 a.C.,[4] probabilmente nel 254 a.C.[5] Sua terra natale sarebbe stata la città di Sarsina, oggi in Romagna ma in epoca romana facente parte dell'Ombria; tale notizia, riportata dal cronista tardo Girolamo,[6] sembra confermata da un passo della Mostellaria,[7] ed è comunemente ritenuta vera.[8]
Le notizie sulla maturità di Plauto furono anticamente tramandate dall'erudito di età tardo-repubblicana Marco Terenzio Varrone in alcune opere, oggi perdute, in cui trattava del teatro romano arcaico e in particolare di quello plautino.[9] Egli stilò un'ordinata biografia dell'autore in cui raccolse il vasto corpus di notizie, in grande parte leggendarie, cui la fama che Plauto aveva ottenuto mentre era ancora in vita aveva dato adito.[9] Nella stesura della sua opera, Varrone si accertò probabilmente di comprovare i riferimenti cronologici di cui si disponeva, e sottolineò inoltre la fioritura contemporanea di Plauto con Marco Porcio Catone detto il Censore. Le notizie riferite da Varrone, spesso estrapolate da alcuni passi delle commedie plautine in cui si credeva di vedere riferimenti autobiografici, andarono a costituire il racconto tradizionale della vita di Plauto.[9] Dalle opere di Varrone attinsero informazioni Aulo Gellio, che trasmise alcuni aneddoti sulla vita e l'opera di Plauto nelle sue Noctes Atticae, e Gaio Svetonio Tranquillo, che le rielaborò nella sezione De poetis del suo De viris illustribus, pervenuto ad oggi in maniera frammentaria. All'opera di Svetonio poté però rifarsi, tra il IV e il V secolo d.C. Sofronio Eusebio Girolamo.[9]
Secondo le ricostruzioni più recenti, realizzate a partire dalle informazioni reperibili nei testi plautini e presso le opere degli antichi, e dall'analisi del contesto storico e culturale,[10] Plauto avrebbe assistito in giovane età alle rappresentazioni teatrali dei testi tragici e comici greci organizzate in Roma e nelle città vicine, come Capua e Napoli, da attori di madrepatria greca o greco-italica.[10] Contemporaneamente, avrebbe raggiunto un certo successo come attore di atellane, recitando nella parte di Maccus.[10]
Il suo nome non è certo, infatti in alcune sue commedie si firma come Plautus in altre Maccius (nel prologo dell'Asinaria Maccus, nel prologo del Mercator Titus Maccius, nel prologo del Trinummus Plautus). Probabilmente sono tutti e due soprannomi usati dall'autore in momenti diversi della sua carriera, il primo deriva, secondo il lessicografo latino Festo (274, 9 Lindsay), da plotus, che in dialetto umbro significava "dalle grandi orecchie, dai piedi piatti" (cioè "attore di commedia"), mentre il secondo è desunto da un personaggio dell'atellana, Maccus appunto, il che fa ritenere che Plauto fosse stato anche attore di atellane e che quest'ultime abbiano notevolmente influenzato la sua attività teatrale. Maccus è anche il nome di una maschera del teatro greco, alla quale si pensa Plauto si sia ispirato nel voler prendere in giro la nobiltà romana (infatti solo i nobili avevano i tre nomi), aggiungendo dunque al suo nomen e cognome anche il terzo nome Maccus, poi trasformato in Maccio.[1]
Dopo la sua morte circolarono moltissime commedie intestate a lui (130) di cui buona parte si rivelarono in seguito dei falsi poiché molti commediografi minori, con l'intento di rendere le proprie commedie famose, le spacciavano per sue. Marco Terenzio Varrone 150 anni dopo la sua morte, le analizzò e le classificò in tre gruppi.
- 21 certamente plautine
- 19 di attribuzione incerta
- 90 spurie.
Solo di due commedie sono certe le date di prima rappresentazione: lo Stichus (200 a.C.) e lo Pseudolus (191 a.C.).
LE COMMEDIE PLAUTINE
Le commedie plautine per comodità didattica e anche per una certa affinità di struttura si possono catalogare in sei gruppi, come suggeriti da Della Corte. Le commedie della beffa, del romanzesco, dell'agnizione, dei simillimi, della caricatura e di tipo composito.
I titoli delle 21 commedie attribuite a Plauto sono i seguenti:
- Amphitruo (Anfitrione): la storia narra le vicende di Anfitrione e del suo servo Sosia (da cui il termine omonimo, oggi usato per antonomasia come nome comune), i quali partono da Tebe in guerra. La storia narra del re di Tebe che va a combattere contro i Teleboi. Nel frattempo Giove, essendosi innamorato della moglie di Anfitrione, Alcmena, prende le sembianze del marito di lei per giacere con lei, ed ordina al dio Mercurio di prendere le sembianze di Sosia. Tornato Anfitrione, egli manda il servo Sosia per annunciare del suo arrivo, ma egli incontra Mercurio trasformato che lo induce ad avere una crisi d'identità, convincendolo di non essere Sosia. Anfitrione, dopo aver ascoltato il discorso di Sosia tornato a riferire, torna dalla moglie e si crea confusione. La vicenda si conclude con l'agnizione (riconoscimento) finale ed il tipico deus ex machina: Giove scende dal cielo e spiega la situazione. Annuncia inoltre alla coppia che avranno due figli gemelli, dei quali uno figlio di Giove, quindi semidio, il futuro Ercole.
- Asinaria (La commedia degli asini): la trama della commedia racconta di Argirippo, un giovane, che vendendo degli asini, si guadagna i soldi per comprare la donna che ama, una cortigiana di nome Filenio. Quest'ultima però è anche desiderata dal padre di Argirippo, che incorre così nelle ire di sua moglie.
- dei Simillimi (o dei Sosia): riguarda lo scambio di persona, dello specchio e del doppio;
- dell'Agnizione: alla fine di questo tipo di commedie avviene un riconoscimento improvviso ed imprevedibile dell'identità di un personaggio;
- della beffa: in questo tipo sono organizzati scherzi e beffe, bonari o meno;
- del romanzesco: dove compaiono i temi dell' avventura e del viaggio;
- della caricatura (o dei Caratteri): contenenti una rappresentazione iperbolica, esagerata di un personaggio;
- composita: che racchiude al suo interno uno o più elementi delle sopraccitate tipologie.
Lo schema delle commedie
Prima delle commedie vere e proprie, nella trascrizione manoscritta c'è quasi sempre un argumentum, cioè una sintesi della vicenda. In alcuni casi sono prenti addirittura due argumenta, e in questo caso uno dei due è acrostico (le lettere iniziali dei singoli versi formano il titolo della commedia stessa).All'inizio delle commedie vi è un prologo, in cui un personaggio della vicenda, o una divinità, o un'entità astratta personificata presentano l'argomento che si sta per rappresentare.
Nella commedia plautina è possibile distinguere, secondo una suddivisione già antica, i diverbia e i cantica, vale a dire le parti dialogate, con più attori che interloquiscono fra di loro, e le parti cantate, per lo più monologhi, ma a volte anche dialoghi tra due o addirittura tre personaggi.
Nelle commedie di Plauto ricorre spesso lo schema dell'intrigo amoroso, con un giovane (adulescens) che si innamora di una ragazza. Il suo sogno d'amore incontra sempre dei problemi a tramutarsi in realtà a seconda della donna di cui si innamora: se è una cortigiana deve trovare i soldi per sposarla, se invece è onesta l'ostacolo è di tipo familiare.
Ad aiutarlo a superare le varie difficoltà è il servus callidus (servo scaltro) o il parassita (squattrinato che lo aiuta in cambio di cibo) che con vari inganni e trabocchetti riesce a superare le varie difficoltà ed a far sposare i due. Le beffe organizzate dal servo sono alcuni degli elementi più significativi della comicità plautina. Il servus è una delle figure più largamente utilizzate da Plauto nelle sue commedie, esso ha doti che lo fanno diventare eroe e beniamino dell'autore oltre che degli spettatori; esistono varie tipologie di servus:
- il servus currens: l'attore che interpreta questo tipo di servo entra in scena di corsa e mantiene un atteggiamento trafelato finché rimane sul palcoscenico. Plauto lo utilizza come parodia del messaggero, infatti porta sempre qualche lettera o informazione che è di vitale importanza per l'avanzamento della commedia;
- il servus callidus: è un tipo di servo la cui qualità più spiccata è appunto la calliditas (astuzia); ordisce inganni benevoli/malevoli sia a favore che contro il protagonista (nello Pseudolus, ad esempio, il servo ha un ruolo centrale: è colui che organizza la truffa);
- il servus imperator: appare nella commedia Persa; è una tipologia di servo che sfoggia una parlantina che utilizza parole che derivano dal gergo militare, e un'incredibile superbia. Parla di ciò che fa come se si rivolgesse a una truppa in partenza per una guerra.
Un altro elemento strutturale di grande importanza nelle commedie di Plauto è il riconoscimento finale (agnitio), grazie al quale vicende ingarbugliate trovano la loro fortunosa soluzione e ragazze che compaiono in scena come cortigiane o schiave recuperano la loro libertà e trovano l'amore.
La Vis Comica
La grande comicità generata dalle commedie di Plauto è prodotta da diversi fattori: un’oculata scelta del lessico, un sapiente utilizzo di espressioni e figure tratte dal quotidiano e una fantasiosa ricerca di situazioni che possano generare l’effetto comico. È grazie all’unione di queste trovate che si ha lo straordinario effetto dell’elemento comico che traspare da ogni gesto e da ogni parola dei personaggi. Questa uniforme presenza di comicità risulta più evidente in corrispondenza di situazioni ad alto contenuto comico. Infatti Plauto si serve di alcuni espedienti per ottenere maggior comicità, solitamente equivoci e scambi di persona.Plauto fa uso anche di espressioni buffe e goliardiche che i vari personaggi molto di frequente pronunciano; oppure usa riferimenti a temi consueti, luoghi comuni, anche tratti dalla vita quotidiana, come il pettegolezzo delle donne.
Inoltre Plauto fa largo uso dell'elemento corporeo (vedi corpo grottesco). Ad esempio questo dialogo della Aulularia in cui interagiscono i servi-cuochi Congrio e Antrace, e Strobilo che li coordina:
Secondo Atto, Scena 4. (Un'ora dopo)
Strobilo: (arrivando dal mercato con due cuochi, due flautiste e varie provviste)
«Il padrone ha fatto la spesa in piazza, e ha ingaggiato i cuochi e queste flautiste.
Mi ha anche ordinato di dividere tutte le sue cose, qui, in due parti.»
«Il padrone ha fatto la spesa in piazza, e ha ingaggiato i cuochi e queste flautiste.
Mi ha anche ordinato di dividere tutte le sue cose, qui, in due parti.»
Antrace: «Per Giove, di me - te lo dico chiaro e tondo - non farai due parti.
Se invece vuoi che me ne vada tutto intero da qualche parte, lo farò senza meno.
Se invece vuoi che me ne vada tutto intero da qualche parte, lo farò senza meno.
Congrio: (rivolto ad Antrace) «Quant'è carina e riservata questa prostituta pubblica.
Se qualcuno volesse, non ti spiacerebbe, neh, di farti aprire in due dal di dietro.» (vv. 280-6)
Se qualcuno volesse, non ti spiacerebbe, neh, di farti aprire in due dal di dietro.» (vv. 280-6)
I modelli greci
Le commedie di Plauto sono delle rielaborazioni in latino di commedie greche. Tuttavia, questi testi plautini non seguono molto l'originale perché Plauto da una parte adotta il procedimento della contaminatio, per il quale mescola insieme due o più canovacci greci, dall'altra aggiunge alle matrici elleniche cospicui tratti riconducibili a forme teatrali italiche come il mimo e l'atellana. Plauto tuttavia continua a mantenere nella sua commedia elementi ellenici quali i luoghi e i nomi dei personaggi (le commedie della recensione varroniana sono tutte palliatae, cioè di ambientazione greca). Si può affermare che Plauto prende molto dai modelli greci ma grazie ai cambiamenti e alle aggiunte il suo lavoro non risulta né una traduzione né un'imitazione pedissequa. A questo contribuisce anche l'adozione di una lingua latina molto vivace e pittoresca, in cui fanno spesso bella mostra di sé numerosissimi neologismi. La cosa che distingue l'imitatore dal grande scrittore è la capacità di quest'ultimo di farci dimenticare, tramite le sue aggiunte e le sue rielaborazioni, il testo di partenza. Sul tema della contaminatio c'è un'altra importante nota, il fatto che nei prologhi del Trinummus (verso 19) e dell'Asinaria (verso 11) Plauto definisce la propria traduzione con l'espressione latina "vortit barbare" (traduzione in italiano: vortit barbare = tradotto in latino). Plauto utilizza il verbo latino vortere per indicare una trasformazione, un cambiamento di aspetto; si perviene necessariamente alla conclusione che Plauto non mirasse solamente a una traduzione linguistica ma anche letteraria. Il fatto poi che utilizzi l'avverbio barbare deriva dal fatto che essendo le sue fonti di ispirazione di origine greca, in latino erano rese con un notevole perdita di significato oltre che di artisticità, e dato che per i Greci tutto ciò che era straniero era chiamato barbarus, Plauto afferma che la propria traduzione è barbara.Influenze e rielaborazioni
Le opere di Plauto hanno ispirato molti drammaturghi come William Shakespeare, Molière, e Gotthold Ephraim Lessing.Molte delle sue commedie sono state riproposte fino ai giorni nostri, talvolta rielaborate in chiave moderna. È il caso della commedia I Menecmi riadattata da Tato Russo a fine anni 80 in chiave partenopea; lo spettacolo ha avuto un grande successo, con più di 600 repliche nell'arco di 15 anni [
Altre sue opere, il Miles gloriosus e lo Pseudolus sono alla base del musical A Funny Thing Happened on the Way to the Forum (Una cosa buffa accaduta sulla strada che porta al Foro, in italiano "Dolci vizi al foro") del 1962, in seguito portata sullo schermo cinematografico da Richard Lester. Lo stesso tipo di personaggio (lo schiavo furbo) appare in Up Pompeii.
Nel 1963 Pier Paolo Pasolini ha pubblicato presso l'editore Garzanti Il vantone, la sua traduzione in doppi settenari a rima baciata del Miles gloriosus; la lingua di Plauto è traslata in una lingua 'da avanspettacolo', con una leggera patina romanesca.
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